PREFAZIONE SILLOGE “IN ORIGINE”
Questa silloge di Carmelo Loddo offre al prefatore (e al
lettore) molteplici spunti di analisi in relazione alla varietà dei motivi
tematici e al ruolo che lo stesso Autore attribuisce ai propri componimenti, oltre
che, ovviamente, alla specificità di un discorso poetico che solo talvolta si
configura in toni distesi, trovando invece la propria cifra peculiare in un
tono non di rado alquanto aspro e in ogni caso non privo di efficacia
espressiva.
Ad uno sguardo sinottico le composizioni qui raccolte ci restituiscono
l’immagine di un uomo impegnato a scrutare se stesso e le proprie reazioni in ordine agli assalti della vita, un uomo
che non rinnega il passato e intende contrastare il proprio destino
atteggiandosi a soldato indomabile,che si autodefinisce ribelle e non accetta
intromissioni: Rincorro le mie ombre/ e non tollero intrusioni, né velieri che
traccino rotte/ diverse dalle mie. (“Ribelle”). Autorizzano questo dato
interpreetativo non soltanto i luoghi appena citati, ma anche le frequenti spie
lessicali che rimandano ai campi semantici del combattimento e delle armi, al
punto che per alludere al travaglio del poetare si ricorre all’espressiva
immagine stretta la virgola tra i denti (“Zero letterario”).
Per converso, questo costante stare all’erta come chi debba per forza
di cose impegnarsi in una inesausta lotta contro l’insensibilità altrui o
contro l’inclemenza di un fato “permaloso” si coniuga frequentemente con il
ricorso al verbo “sovvenire”, probabilmente inteso nella sua accezione
originaria di “venire in aiuto”, a testimonianza del fatto che oltre il
ribellismo e l’esibito coraggio è dato intravedere quel fondo di disarmata
fragilità che tutti, chi più chi meno, ci portiamo dentro come retaggio della
nostra finitezza e con cui anche il Nostro deve fare i conti per poter
attingere in piena sincerità la profondità del proprio Sé: azzurro profondo di
me stesso,/ove raccolgo frutti sopiti/ da vita racchiusa in bozzolo/ di
crisalide, e / -volo nel profondo.- (“Intimo mare”).
Il riconoscimento della propria inquietudine non confligge allora con
l’atteggiamento titanico, tanto più che a fronte di quest’ultimo si profila il
ruolo determinante dell’amore, vera ancora di salvezza nella navigazione
turbolenta della vita: tu sarai il mio approdo/ed io la tua ancora (“Sarò per
te”).
Il ruolo salvifico dell’amore risulta sottolineato dall’allusione al
campo semantico della fame (sarai il mio alveare/e mi sazierai/ di te (“Mi sazierai”) ) e dalla sua
assimilazione metaforica al pane, visto che
l’amore è appunto granello che si trasforma in farina/ divenendo pane
nostro quotidiano/ e va “assaporato” anche quando è salato (“Fermento
d’amore”), vale a dire anche quando provoca dolore. Del resto esso protegge
dalle paure della vita e va ricercato nei più sperduti anfratti,/ tra dubbi e
paure/ tra le volute angosce/ chiuse nel dolore (“Dialogo”).
Serpeggia infatti per tutta la silloge l’aspirazione alla pienezza
dell’amore, cantato a volte con una partecipazione appassionata che detta
corpose similitudini: E mi colmo di te/ come una vela gonfia di vento/ prima di
sciogliermi come cera/ nel filamento tuo acceso. (“E…”). Al fondo traluce il
desiderio di essere compreso e accettato, quello stesso che altrove induce ad
invocare il padre dal cuore “vecchio stampo” perché lo chiami figlio, non
nemico. (“Non ho tradito”).
Non è da credere, tuttavia, che l’atteggiamento del Nostro sia soltanto
quello del ripiegamento su se stesso, giacché numerose composizioni hanno per
tema l’esistenza umana in generale e quella propria dell’attuale momento
storico in particolare. La vita è albeggiare spento/ tra cielo e terra (“I
desideri”) e noi uomini navighiamo in
modo assai strano/ dentro ad un mondo/ che invano costruiamo (“Viaggio
immaginario”). Vivere è come essere su un lento treno a vapore fermo in
galleria/ che non vede luce. (“I desideri”). L’Autore nondimeno non si nasconde
la difficoltà di leggere la condizione umana in termini di precarietà e di
fragilità: ora siamo pagine ingiallite di un vecchio libro/ dove torniamo
spasmodicamente a rileggerci/ e ricominciamo con identica trama,/ ora invece
siamo canne,/sbattute dal vento di grecale,/ o addirittura polvere sparsa/ che
si alza improvvisa./ O forse ignoriamo
chi siamo: forse figli di una illusione/forse di un Dio minore/o di una
foglia di quercia/caduta dal ramo. (“Riflessioni”).
Ciò conduce peraltro al riconoscimento della comune umanità: Siamo
gatti di strada, un po’ randagi/ addolorati forse, e graffiamo il mondo,/per
poi tornare a casa/un sicuro rifugio. (“Questa luce nell’androne”),ma induce
anche a sottolineare certe connotazioni negative dei nostri tempi, quali lo
sfruttamento degli individui, la colpevole dimenticanza del passato e la paura
del futuro incerto, in un mondo che assomiglia alla “terra desolata” di Eliot,
avvelenato da fumi e polveri sottili al punto che Madre Natura è resa matrigna dalle torture che le abbiamo
inflitto: ed essa, gemendo, tracima (“Madre Natura”).
In questo contesto, molto chiede il Nostro alla poesia. Le chiede
innanzitutto di essergli baluardo in quel già citato continuo combattimento che è la sua
esistenza: rivesto quest’anima/ di corazze poetiche/ per non ascoltare/il lezzo
nauseabondo/ di toraciche casse/ prive di cuore.(“Difesa”). Ma la intende
altresì come testimonianza di vita (Ho riunito i miei ricordi/ in un unico
quaderno/facendone poesia) e come forma privilegiata di espressione nelle sue
diverse declinazioni: converto opinioni e sentimenti/ in parole (“Sapori di
vita”). Qualifica i suoi versi ora come inutili iperboli/che si muovono libere/
come farfalle nei prati, ora come pesanti pietre/ che rotolano e
travolgono/ i distratti viandanti (“Difesa”). Ma dichiara pure di fare giochi
di poeta/…godendo di libertà lessicale/tessevo trame ardite/ contro nemici
della vita mia,/ nel tentativo di contrastare il temuto oblio(“Ludico”). Dimostra di aver compreso quanto affermava a
metà del secolo scorso Hugo Friedrich, cioè che i poeti sanno di appartenere ad
una sorta di eternità, ossia “all’eterna libertà che il linguaggio ha di
inventare, di giuocare, di cantare e di affascinare”.
Il linguaggio di Carmelo Loddo ha un tratto distintivo nella frequente
ellissi dell’articolo (Passero poggia/ su
esili zampe/ su bella foglia/ ornamento di ramo) (“Non sono solo”) e dà
le sue prove migliori quando l’aggettivazione- talvolta insistita al limite
della ridondanza- si presenta più misurata e quando il discorso si caratterizza
per la valenza analogica delle immagini e per la forza evocativa di simboli come quello del mare: Tornai in
mare aperto,/ tornai all’origine/ del mio universo (“In origine”). E’ in luoghi
come questi che l’irsuzie si attenua e il messaggio si comunica in ritmi più distesi e
formalmente convincenti, testimoniando appieno quell’ispirazione profondamente
avvertita dalla quale ci aspettiamo ulteriori, auspicabili esiti poetici.
Francesca Neri
PREFAZIONE
SILLOGE “ NELLE BRICIOLE DEI MIEI GIORNI”
La natura, la
meditazione sull’esistenza accompagnata da un’evidente attitudine
introspettiva, il richiamo al passato (con l’occhio di chi ha ormai preso piena
coscienza della fugacità del tempo) sono i principali motivi tematici di queste
composizioni di Carmelo Loddo nelle quali l’insistito ricorso all’anafora
sembra voler sottolineare la rilevanza di alcune notazioni poetiche conferendo
loro persuasività. Il legame del Nostro con la natura si configura non solo
come descrizione di paesaggi, ma anche talvolta come vera e propria tendenza
panica che lo induce ad identificarsi con essa: “Sono natura che in me geme”(Mi trasformo). Ciò peraltro non gli
impedisce di disegnare anche scenografie che a buon titolo potremmo definire
surreali: “Scivolo sui sogni stellati/e su cavalli alati cristallini”(Fantastiche fughe irreali). Altre
composizioni sono invece connotate dalla meditazione sull’esistenza, quella
personale del poeta e quella di tutti noi, che “ci sentiamo persi/in una
clessidra/ dove il tempo non ha tempo/ e la vita ci seppellisce”(Il giorno mi attende). E se per la
stanchezza della vita egli, orfano dei suoi sogni, si getta “senza
paracadute/incontrando le stelle”(Vaneggio),
se il bilancio degli “anni bui” vissuti “indossando occhiali da sole” gli fa
comprendere di non aver ben compreso il senso della vita,condivisa solo nei
momenti dolorosi, in realtà si rende conto di averla anche in essi amata “senza
ritegno”(Come non essere).L’incauto
desiderio di fermare il tempo al punto di scongiurare la rosa primaverile perché non scivoli
“nell’inverno/ dove tutto sfiorisce”(Dolce
rosa della sera) cerca forse un sostegno nell’amore,che quando non è fatuo
genera “scintille d’estasi”(I nostri anni),
ma anche nella scrittura poetica, capace di richiamare alla mente il passato,
perso il quale “siamo silenzi senz’anima/dimentichi della nostra storia”(In bianco e in nero), e di accompagnare
un percorso esistenziale effettuato navigando a vista, alla ricerca “di un punto
fisso/ sulla linea di un orizzonte/che non conosce confine”(Le mie grida).
Francesca Neri
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